Cos’è il gusto? Un punto di vista italiano.

Jan 06, 2021
Il gusto italiano

Ascolto una delle ultime composizioni di Ludovico Einaudi e penso. Non c’è un filo conduttore ben preciso nei miei pensieri, semplicemente la sua musica mi trasporta lontano, via da questa sala universitaria piena di libri ma svuotata della sua essenza: la condivisione del tempo in cui anche solo uno scambio d’occhiate può farti sentire vivo e presente. Il distanziamento sociale non fa per noi.

La musica mi distoglie l’attenzione e mi fa guardare l’orizzonte, meravigliandomi delle sfumature dei vari colori che nel corso della giornata cambiano per svanire ogni giorno, dopo il tramonto, nell’infinito. Spesso mi soffermo a riflettere sul significato di questa non visione perché realmente non so cosa c’è aldilà, ma sono curioso di natura e posso solo immaginare una realtà futura in questi posti nuovi. Ed è qui, in un attimo di lucidità, che ritrovo il bandolo della matassa: cos’è che realmente cerchi? Cos’è che ti spinge ad andare avanti? Cos’è che ti contraddistingue come persona? Nel mio caso una irrefrenabile voglia di viaggiare e conoscere nuove culture, nuove persone, nuove forme di espressione. Soprattutto quella innata voglia di scoprire come la gente di un determinato territorio si esprime attraverso la loro forma di cucinare, di mangiare e cura nella produzione di prodotti alimentari tipici del luogo. Un altra cosa amo fare: immaginare come i vari paesaggi e i suoi alimenti possano mescolarsi per la creazione di nuovi piatti. Per esempio vivo in una casa sopra il fiume Onyar di Girona e vedo carpe, alghe, foglie e fiori di tilla, ma anche tanta acqua scorrere via verso il mare. A voi la grande impresa di creare una nuova ricetta!

Ma non vi voglio parlare di innovazione culinaria. Invece, tornare a ciò che le note pausate della composizione “Seven days walking” provocano e adesso un contrastante sentimento mi attanaglia: la nostalgia. A volte succede che un subbuglio di emozioni ti renda triste, melanconico e avvilito, con una gran voglia di tornare nei luoghi passati per ritrovare quella speranza, passione e più semplicemente quel qualcosa di conosciuto che ti faccia sentire e stare bene. Ci sono varie forme per sconfiggere o per lo meno convivere con la nostalgia e una di queste è il senso di appartenenza ad una comunità. Infatti la prima cosa che ho fatto è stato cercare il luogo di nascita di Einaudi e, come sospettavo, anche lui è piemontese come me. Non lo conosco di persona, non so neanche dove sia adesso, ma mi metto subito a camminare insieme a lui nel bel mezzo delle colline delle Langhe, nei sentieri di montagna, tra i laghi e la mia città di Ivrea. Mi sento subito meglio, riesco a fare mezzo sorriso e dopo tanto tempo seduto con quel groppone nello stomaco mi rendo conto di non aver mangiato. Forse è proprio questa sensazione di fame il  motivo principale della mia nostalgia ma non voglio perdere subito quel senso di rinnovata felicità bensì ampliarla trovando altre informazioni che possano far mangiare con gli occhi e saziare la voglia di Italia. Continuo la  ricerca Google e trovo un bella intervista sul The Guardian che racconta di una abitudine culinaria di infanzia del mio nuovo amico immaginario. Qualcosa di estremamente semplice che ci accomuna, perché anche io tornando a casa sentivo quel profumo delizioso di burro bruciacchiato e salvia. Nel mio caso era il segnale inconfondibile che la nonna aveva fatto gli gnocchi.

Smetto di sognare e con l’acquolina in bocca mi sbrigo a spiegarvi cosa sono gli gnocchi e cosa rappresentano per la cucina italiana. Prima di tutto mi piace giocare con l’etimologia delle parole perché ci si trova tutta l’evoluzione dell’uomo e l’adozione di determinati aspetti della vita quotidiana nella lingua di un determinato posto. Nel caso degli gnocchi tutto viene dalla similitudine delle nocche delle dita con le strisce di pasta da cui si ricavano le palline di pasta. In tutta Italia ci saranno mille modi per definire questa pietanza. Ci sono quelli romani, quelli sardi, i canederli trentini, quelli fritti emiliani, i dolci siciliani, rigati o lisci…insomma chi più ne ha ne metta. I più famosi però sono senza dubbio gli gnocchi di patate e la loro storia risale alla fine del Settecento quando alla fine di una carestia si aggiunse la patata nelle ricette del pane o della pasta ( https://www.gamberorosso.it/notizie/storia-degli-gnocchi-di-patate/ ). Ed è proprio questa aggiunta a ciò che si definiva gnocco all’acqua o gnocco bignè e altre piccole trasformazioni che dopo oltre un secolo possiamo ritrovare una ricetta simile a quella odierna, ovvero la preparazione di palline fatte da un impasto di patate bollite, uova, sale e pochissima farina. Il processo è abbastanza laborioso ma sicuramente la parte più difficile è trovare la patata giusta: farinosa e senza tanta acqua. Più umida è la patata e più farina dovremo usare per far si che l’impasto rimanga compatto, ma soprattutto distogliendo il nostro palato da ciò che è il sapore principale del tubero. Sicuramente è questa la più grande caratteristica del gusto italiano: la ricerca della qualità del prodotto ed esaltarne il suo sapore naturale senza tante confusioni. Certe certezze nella vita sono basilari.

Infine c’è ancora spazio per un’ultima riflessione. Riguarda il nostro modus vivendi, secondo una visione occidentale privilegiata, perché sebbene questa pandemia abbia ridimensionato l’approccio alla quotidianità e l’impossibilità momentanea di viaggiare con serenità e spensieratezza, possiamo ancora permetterci di mettere un piatto in tavola e molto spesso soddisfando la nostra immaginazione. Noi che lavoriamo nel mondo della gastronomia siamo fortunati e per questo che dobbiamo essere consapevoli che è necessaria una collaborazione per eliminare la fame nel mondo. Non voglio essere naive o disilluso ma è chiara la necessità di attuare adesso per un mondo migliore. Conoscere le tradizioni culinarie, sapere del loro passato e di come abbiamo adattato le nostre pietanze per resistere a l’inclemenza della natura, al giorno d’oggi umana, ci deve dare la forza necessaria per imparare ad affrontare le nuove sfide che ci aspettano, consapevoli che ognuno di noi può e deve fare la differenza. Questo ultimo pensiero vuole essere uno slancio alla partecipazione congiunta di tutti gli attori gastronomici per riunirsi attorno ad un mercato, quello turistico, che aiuta ad avvicinare piuttosto che dividere, infrangere le paure e creare quel “hummus” (andate a vedere l’etimologia della parola, perchè adesso ho proprio tanta fame) per far rinascere la voglia di stare insieme e condividere l’ospitalità per eccellenza. In Italia come in tanti altri paesi del mondo si dimostra aggiungendo un posto a tavola per passarci delle ore intere: questo è il vero gusto.

Scritto da Massimo Bonmassari. A cura di Erik Wolf.

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